Come l’Africa si salverà sola usando il (ahimè) Libero Mercato.

Nonostante questa notizia sia passata in sordina sui media italiani, in questi mesi un
cambiamento epocale sta avvenendo in Africa.

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Una svolta significativa sta prendendo man mano forma nel tessuto economico del continente e, nel totale silenzio mediatico del nostro paese, porterà le sue conseguenze fin nella nostra penisola.
La cosa curiosa è che una delle possibili conseguenze potrebbe influenzare il fenomeno dei flussi migratori nel mediterraneo, e farcela molto meglio di tutte le misure che i governi Europei hanno cercato di attuare prima dell’emergenza Pandemica del COVID-19.

Si tratta della firma per il Trattato di Libero Commercio Continentale Africano, avvenuto in Nigeria.

Non si esagera a supporre che sia un momento nevralgico per lo sviluppo socio-economico del paese, che con questa manovra si ripromette di rendere possibile un implemento di rilevanza storica per il futuro dell’Africa.
Più precisamente il 7 luglio 2019 a Niamey, capitale Nigeriana, 54 su 55 Stati africani hanno ratificato l’accordo di libero scambio, che porterà alla progressiva eliminazione dei dazi doganali tra nazioni del continente e di conseguenza alla facilitazione della libera circolazione di beni al suo interno.
Siamo abituati a pensare all’Africa come ad una nazione povera, che arranca anche solo a ricorrere gli standard di progresso nell’impresa e nelle infrastrutture. Questo “paese in via di sviluppo” ha invece al suo interno tutto il necessario per autosostentarsi; ma una storia di colonialismo, governi instabili e guerre civili hanno messo in ginocchio questo Continente, che viene ormai visto con una patina di assistenzialismo, alla stregua del senzatetto a cui si fa elemosina con la certezza che non sarebbe mai in grado, nella società, di ottenere nulla da solo.
L’implementazione del Trattato creerebbe (almeno in teoria) invece un mercato unico, di pressoché 1,3 miliardi di persone e, conseguentemente, ad un blocco economico di 3.4 trilioni di dollari. Questo porterebbe alla più grande area di libero scambio al mondo – con una superficie di 30 221 532 km quadrati l’africa è il terzo continente per dimensione – e quindi ad un mercato continentale compatto ed per beni e servizi, ad una circolazione fluida di capitali e –perché no- persone. Ma vediamo più nello specifico di cosa si tratta.

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Il Trattato di Libero Commercio Continentale Africano, (in inglese African Continental Free Trade Agreement, abbreviato AfCFTA) è un trattato di natura internazionale che si occupa di regolamentare l’apertura delle frontiere. Sono inoltre già state raggiunte le 22 ratifiche necessarie per l’entrata in vigore dell’accordo. L’unico stato africano a non aver né firmato né ratificato è l’Eritrea. Si tratta comunque dell’accordo commerciale internazionale più imponente per numero di Paesi coinvolti e per estensione dell’area interessata. Al suo interno si stabilisce l’eliminazione dei dazi alle importazioni e la cancellazione delle barriere tariffarie sul 90% delle merci coinvolte negli scambi interni, mentre il restante 10% di dazi – identificati come “prodotti sensibili” – verrà analizzato per poter essere eliminato in una seconda fase.

Com’è possibile nella pratica una tale manovra?

La riduzione delle tasse doganali al livello della “Most Favoured Nation” (MFN) corrisponde in poche parole alla normalizzazione dei rapporti commerciali tra gli Stati tramite l’applicazione a ognuno di essi del dazio più basso applicato da ciascun Paese, ovvero quello applicato nei confronti dello Stato con cui ha i migliori rapporti diplomatici. Questo risolverebbe una serie di problemi che si riscontrano nel commercio interno del Continente, poiché solitamente gli Stati africani applicano le tasse doganali più alte proprio agli Stati  confinanti.
Questo, insieme allo snellimento delle procedure burocratiche risulterebbe in un
risparmio cospicuo di tempo e di denaro. Ma gli intenti del AfCFTA sono molteplici. Innanzitutto, il principio cardine è creare un unico mercato per beni e servizi, con libera circolazione per persone e investimenti aziendali. Ottenutolo, sarà possibile aprire la strada per accelerare la creazione dell’Unione doganale, così da espandere gli scambi intra-africani. Una delle conseguenze principali sarebbe la riduzione del tempo trascorso
alla dogana per far sì che il passaggio delle merci venga approvato. La procedura è infatti estremamente lunga e costosa, richiede un numero elevato di documenti non sempre facilmente reperibili. Il commercio interno è un serio problema dell’economia Africana, scoraggiato non solo dai dazi doganali, ma anche da una burocrazia stagnante che crea tempistiche insostenibili per l’attraversamento di confine, per non parlare poi dei problemi di infrastruttura che contribuiscono ulteriormente a scoraggiare lo scambio nel continente. S’intende così favorire anche lo sviluppo della manifattura locale, in modo da superare il sistema economico incentrato sull’export delle materie prime, migliorando allo stesso tempo la competitività per quanto riguarda industria e impresa.
Un esempio lampante di questa possibile prospettiva è nel Cacao. La maggior parte del cioccolato che compriamo, che provenga esso da una multinazionale europea o americana, viene in realtà dall’Africa. Nel mercato del Cacao e derivati sono infatti Ghana e Costa D’Avorio a produrre circa il 60% della materia prima. Perché allora incassano il 6% dei profitti totali?
Questo perché il cacao che viene coltivato in Africa non rimane nel continente per essere raffinato, ma viene esportato come materia grezza. Una volta portato fuori dal paese e lavorato, viene venduto al resto del mondo come prodotto finito, prodotto che anche l’Africa è costretta ad acquistare ad un prezzo –paradossalmente- molto più alto.
Il Trattato è una misura politica ed economica volta ad invertire questo processo, sottraendo di conseguenza forza economica a tutti quegli altri Stati che fino ad ora hanno acquistato dal Continente.

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I governi di Accra e Yamoussoukro si stanno accordando in una strategia comune per
costruire in Africa l’industria per la produzione di un cioccolato che sia appetibile sui mercati internazionali. Con l’AfCFTA questa “piccola” sfida ai colossi mondiali del cioccolato potrebbe diventare piuttosto pericolosa. Questo perché l’obiettivo primario dell’AfCFTA è quello di portare dinamicità all’economia Africana e, soprattutto, al commercio continentale. Tutto ciò rifacendosi all’esempio europeo di favorire una
maggiore collaborazione politica tra gli Stati, ma anche ad un più voluminoso scambio di beni e servizi e alla necessità di armonizzare regole e standard.
In altre parole, si sta tentando di portare l’Africa ad attuare quel processo che portò proprio l’Europa di inizio Novecento su un sentiero di crescita e sviluppo. Una transizione storica piuttosto rilevante, se la si paragona all’avvio dell’Unione Doganale che nel 1957 portò nascita della Comunità Europea, che verrà poi assorbita dall’UE nel 2009, passando al cosiddetto “mercato unico”. Fase cruciale di un processo  “non basato su statalismo, dirigismo, retorica delle chiacchiere e aiuti internazionali, che spesso finiscono solo nelle mani di classi dirigenti corrotte e alimentano corruzione e guerre; ma sul mercato e il libero commercio.”
Tale progetto si può considerare in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite per il 2030, ma non solo: è anche un processo verso il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Africana 2063.
Per chi non lo sapesse l’agenda africana è un quadro strategico per la trasformazione socioeconomica del continente africano nei prossimi 50 anni. L’Agenda si basa su iniziative presenti e passate, come il NEPAD (partenariato sviluppo Africa) e i trattati nigeriani di Lagos e Abuja dell’ECOWAS e dell’AEC. Obiettivo dell’agenda “un ‘Africa integrata, prospera e pacifica, guidata dai suoi stessi cittadini e che rappresenta una forza dinamica nell’arena internazionale”. Il tutto ovviamente secondo i parametri dell’Unione Africana, unione giovane (nasce col vertice africano del 2002 a Durban, in Sudafrica) ma che sta già cercando di farsi strada nel panorama internazionale.

Si vuole quindi raggiungere per il continente una serie di obiettivi quali: il miglioramento della qualità della vita, la stabilizzazione economica e l’integrazione politica del continente.

Dai dati della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo infatti, con l’area di libero scambio si avrebbe un incremento nel commercio tra l’Africa e il resto del mondo pari a circa il 2,8% con tre anni di anticipo rispetto alle previsioni senza accordo (che erano state effettuate per il 2022). Ugualmente, il peso del commercio intra-africano sugli scambi commerciali totali del continente passerebbe dal 10,2% al 15,5%, con un aumento interno del 52,3% rispetto alle medesime proiezioni per il 2022. I maggiori benefici sarebbero visibili nel settore agricolo e quello industriale.Questo permetterebbe la diminuzione degli introiti derivanti dalle tasse doganali, che verrebbe compensata da un aumento del reddito e del salario reale, come conseguenza possibile di un aumento degli export.
Tra i Primi dieci Paesi che crescono di più nell’economia sostenibile cinque sono Africani; negli ultimi dieci anni il Pil continentale è aumentato del 30% e l’85% della popolazione vive in Paesi stabili. Questo ovviamente non esclude che siamo ancora lontani da un livello di benessere e reddito comparabile a quello Europeo. Ma se questo Trattato andrà in porto, come sembra stia accadendo, l’Africa avrà creato la più potente occasione di sviluppo che esista. L’avrà creata da sola, ribaltando l’archetipo ormai stagnante di un’Africa che necessita assistenzialismo ma che dal quale
non si può distanziare; se la sarà creata da sè, per sé.

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In un sistema globale dove l’individualismo liberale dilaga e non c’è spazio per nessuna forma aggregativa o economica di stampo (realmente!) socialista, questa è una delle cose migliori che potesse capitare all’Africa.

Ed è così ci si dovrebbe porre rispetto alla cosiddetta emergenza dei flussi di migrazioni, con un contributo economico costruttivo per l’affermazione del proprio Paese nel panorama internazionale.
Ma soprattutto, è così che si fornisce a centinaia di milioni di persone la possibilità di una vita serena, dignitosa e pacifica. Come un frutto, il Capitalismo si avvia verso le sue fasi più mature e, sempre più, il suo corpo s’ingrassa e s’appesantisce per staccarsi dall’alto e cadere a terra. Cadrà poco dopo aver raggiunto il suo apice, di succoso e maturo frutto del Peccato. L’autonomia economica dell’Africa porterà alla possibilità di scoprire, all’interno della popolazione umana che abita il continente, la possibilità di comprendere la dinamica di classe il cui gioco l’attanaglia da anni. Con la nascita di una netta differenza di classe, l’ascesa di una borghesia interna al continente, creerà finalmente una lotta ad armi pari. La chance di comprendere la coscienza di classe sarà una scintilla pronta a far esplodere anni di repressione e schiavismo. Farà tornare al mittente tutto il pietismo e il buonismo con cui ci siamo permessi di saccheggiare l’Africa. Lasciandola accelerare, accadrà ciò che l’Occidente ha sempre temuto: verremo raggiunti. Si spera, superati.

Avremmo dovuto cooperare, offrire asilo. L’elemosina è uno strumento verticale atto a mantener netti i confini delle classi. Spinti da guerre esterne e intestine, l’Africa di ha sostanzialmente chiesto aiuto, e noi gli abbiamo sempre lanciato qualche spicciolo perchè -in fondo- vogliamo che non ottenga molto altro,

Ma è opportuno ricordare cosa succede quando popolazioni disperate si accatastano al confine di un territorio. Durante la gloria di Roma, ci fu un momento simile: i Goti erano stati spinti già dai Mongoli, attorno ai confini dell’Impero Romano. Si accumularono ai confini dell’impero e vennero subito respinti come un minaccia. Pirenne ne scrive lasciando intuire che cercassero principalmente asilo, quando furono attaccati al confine.
Era una richiesta d’aiuto, che è diventata un’invasione. Poi è crollato l’Impero Romano.

Oh, My Sweet Love:

VUOI VEDERE
IL TRAMONTO
DELL’OCCIDENTE
CON ME?

Rae Mary

12 comments

  1. Matteo · marzo 13, 2020

    Che bel articolo di merda oserei dire. Ma non mi sorprenderebbe visto che la penna sicuramente è di una persona che ha una visione occidentalizzata del mondo. Ma lo sappiamo che la CFTA è sotto la tutela dell’OMS/WTO? Lungi dall’essere un Unione ideale come quella pensata dai promotori del socialismo africano e del panafricanismo radicale. Ma del resto da una che ga capire tra le righe che se l’Africa diventa un nuovo blocco commerciale stile UE non c’è da stupirsi. Leggiamo qualcosa prima di scrivere boiate. Tipo Wallerstein, o qualcosa sulla dichiarazione di Arusha, o Maggie Black così giusto per dirne qualcuno…

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    • beamrifle · marzo 13, 2020

      Sono pronta a capire e imparare. Io personalmente non sono mai troppo felice quando uno stato di libero mercato nasce (ma è la mia ideologia a rifiutare in toto la politica e l’economia liberale). Volevo mettere in luce come la retorica dell’Africa che ha bisogno di elemosina sia stantia, e che ci troviamo di fronte ad un cambiamento. Non credo sia lontanamente possibile che una misura economica come questa possa essere totalmente autonoma (da qui non c’è da stupirsi per il coinvolgimento OMS\WTO), e anzi a quanto pare molte infrastrutture saranno finanziate dalla Cina. Questo, assieme al “cedimento” delle organizzazioni occidentali verso la CFTA sono per me dei fattori importanti sulla liberazione africana, quantomeno al livello economico. Poi ripeto, l’articolo (il titolo?) può fuorviare perchè è meno “radicale” delle altre cose che ho scritto, ma NON è un inno all’ideologia liberale in nessun senso. Sarei solo felice se, in caso, dopo la pandemia magari, l’Africa smettesse di avere questo ruolo melenso e posticcio di “paese da aiutare”. Poi se, oltre alle argomentazioni cui ho risposto, vuoi educatamente confrontarti ancora mi fa solo piacere.
      Comunque conosco Maggie Black e terrò a mente gli altri “consigli” di lettura. Ciao.

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      • Matteo · marzo 13, 2020

        C’è un problema essenziale che forse è bypassato nel tuo pensiero (Ma magari mi sbaglio): ma realmente ci si può liberare ed essere autonomi in un economia globale capitalista? E poi siamo veramente convinti che quello che viene chiamato Terzo Mondo (odio questo termine ma la uso solo per esprimere l’area economica-geografica a cui ci stiamo riferendo) si possa abolire sotto il capitalismo? Al mercato globale e transnazionale questa aree fanno comodo e devono rimanere tali. Scusa il tono ma ne leggo di cotte e di crude sull’Africa, il Medio Oriente, l’Asia e il centro/sud america in chiave “simil-sinistroide” e sono tutte analisi molto simili

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  2. Jas · marzo 13, 2020

    Mentalità buonista borghese ne abbiamo?

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    • beamrifle · marzo 20, 2020

      Purtroppo è in esaurimento, i residui di ideologia borghese marchiati a fuoco dalla famiglia nelle fasi di crescita passate si stanno pian piano esaurendo verso l’iperstizione, serve altro?

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  3. Matteo · marzo 13, 2020

    Eventuali errori ortografici sono dati dal fatto che scrivo dal cellulare

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  4. beamrifle · marzo 13, 2020

    Matteo in realtà hai tirato fuori uno spunto molto interessante, sul quale (anche se probabilmente l’articolo è -appunto- fuoriviante) mi trovi molto d’accordo: nessuna nazione però, in questo senso, è allora “libera”: nè l’africa nè la germania nè le più fiorenti economie Arabe che già hanno un’affermata borghesia. Io vorrei evidenziare come questo processo (il passaggio da paesi meno sviluppati a maggioranza proletaria, a paesi con appunto una propria borghesia e conseguente crescita economica) non sia soltanto del centro europa e del centro-nord america ma appunto una tappa di ogni popolazione. L’Oriente è un altro esempio che ben si confa (fatta eccezione per alcune zone del sud-est asia, ma io credo che sia questione di tempo). A questo proposito è lecito pensare: se tutti i popoli diventano consumatori (e non si attua un’accelerazione in senso politico fino ad un comunismo automatizzato) chi produrrà la merce che verrà venduta, generando il plusvalore sul quale si basa il sistema capitalista? Calcolando anche la caduta tendenziale del saggio di profitto è infatti obbligato nel Capitalismo che il plusvalore sia estratto dal lavoro umano. Quindi capisco, anzi non solo: siamo d’accordo. Il senso dell’articolo però era una critica per sè all’atteggiamento (tipico più del centro europa ma generalizzato in tutti i capitalismi più “maturi” nel panorama globale) di chi ha saccheggiato un territorio e poi gli butta qualche briciola accanto, perchè ha interesse a che sia “Terzo Mondo” e guadagna dalla posizione di “benefattore” perchè in realtà mantiene una dinamica verticale che lo arricchisce.
    Ho evitato di aggiungere altre riflessioni perchè sinceramente temevo di rendere il pensiero caotico (mi occupo di web content e ho notato come il lettore medio non sia molto propenso a seguire lunghi discorsi, e questo blog infatti non è fatto con l’obiettivo di piacere o essere “popolare” ma anzi è una sorta di mio “lato oscuro”). Però, anche se ho capito la tua frustrazione, io non credo che lo sviluppo e l’autonomia economica di un continente, in dinamiche strettamente capiste, equivalga alla LIBERAZIONE TOITALE. Però certamente credo che uscire dal concetto di quest’africa post coloniale succube di una povertà obbligata e che non trovava modo di liberarsi dagli strascichi che (complici gli altri paesi che si promettono di “aiutarla”) si hanno interessi a mantenere. Il tutto per legittimare una bella polemicva che voleva dire:

    VOGLIO VEDERE COME SENTIRAI LA MANCANZA DEI BARCONI QUANDO L’AFRICA AVRA’ LA FORZA ECONOMICA DI COMPRARTI E RICOMPRARTI, STUPIDA ITALIA (se non addirittura: e se decidessi tu, nel prossimo secolo, di trasferirti a Johannesburg per “fare fortuna”?)

    Spero che ci siamo capiti su queste opinioni che, anche se non stnnoa nell’articolo, non vengono nemmeno negate e sono leggibili in tutti i miei altri scritti – e anche sul prossimo, che spero leggerai: tratterà come le pandemie modellano la storia dell’uomo.
    In ogni caso, l’articolo è (come l’uomo) sempre perfettibile. Terrò a mente i consigli.
    Spero di essermi fatta capire: solo i miei datori di lavoro possono pensare che io sia una liberale!
    Io avrò fatto 2000 refusi.
    Ps. La grammatica è un vezzo borghese: se vogliamo che ci intrattenga usiamola, ma non è necessaria ;P

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    • Matteo · marzo 13, 2020

      Comunque c’è anche da sottolineare il fatto che all’interno dell’Africa soprattutto dopo il sistema di indirect rule, le aristocrazie locali hanno giovato di quella situazione lasciando grande parte dei privilegi nelle proprie mani. Quindi il danno non è solo dell’Occidente ma anche degli africani stessi. Mi vieni in mente la tratta atlantica che fu favorita anche da varie società e re africani mi viene in mente il regno di Said a Zanzibar o la produzione schiavistica del Senegambia

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  5. Matteo · marzo 13, 2020

    Siamo d’accordo ok, anche se certi passaggi sono molto approssimativi ma penso sia dato dalla mancanza di tempo e spazio per esporre gli argomenti. Seguo il “tuo lato oscuro” da un po’ e mi affascina quello che scrivi 🙂 poi sono una persona abbastanza introversa quindi scusami se ti ho subito attaccata.

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  6. beamrifle · marzo 14, 2020

    Anche io sono abbastanza socialmente goffa, non me la sono presa (: anzi mi fa piacere sapere di avere un lettore! Pensavo di essere la sola persona in questo luogo della rete! Comunque sì, è difficile per me articolare in maniera esaustiva secondo la mia visione e contemporaneamente rilasciare delle informazioni chiare: tendo ad essere confusionaria e a seguire gli “affluenti” di ogni discorso che mi viene in mente. Cerco di scrivere qui anche per “capirmi” ma non essendo articoli con qui voglio ottenere quale tipo di consenso non hanno il minimo labor limae. In tutto ciò, non sono onnisciente: ripeto, adoro imparare. Anzi forse qualche chiacchierata la potremmo fare io e te: alla faccia del brutto inizio, lode alla natura sociale e connettiva Umana!

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  7. Matteo · marzo 14, 2020

    Quando vuoi:) dove ci possiamo sentire?

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    • beamrifle · marzo 17, 2020

      hai cancellato il profilo instagram, ma sei un pazzo stalker del mio passato che si spaccia per un avatar anonimo? Va be, siamo in piena apocalisse quindi whatever

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